Assegnazione della casa coniugale, vendita dell’immobile e azione revocatoria

Il caso

Tizio e Caia si separano. Il Tribunale assegna la casa coniugale, di proprietà esclusiva di Tizio, a Caia, affidataria del figlio minore Tizietto, e le attribuisce il diritto ad un assegno di mantenimento. Tizio, vende l’appartamento a Sempronio.
Caia propone azione revocatoria della vendita lamentando che l’immobile alienato costituiva l’unica garanzia di assolvimento degli obblighi posti a carico del coniuge con i provvedimenti di separazione.

Il Tribunale adito accoglie la domanda, ma le ordina il rilascio dell’immobile poiché in sede di revisione dei provvedimenti di separazione era stato escluso il diritto di abitazione, stante il raggiungimento della maggiore età da parte di Tizietto.

Successivamente in sede di divorzio Caia ottiene nuovamente il diritto di abitazione, ma Sempronio le notifica precetto di rilascio dell’appartamento.
Caia, allora, agisce in giudizio domandando l’accertamento del suo diritto di abitare l’immobile. Sempronio eccepisce l’inammissibilità della domanda e l’inopponibilità nei suoi confronti del provvedimento di assegnazione contenuto nella sentenza di divorzio, pronunciato all’esito di un procedimento iniziato dopo l’acquisto e al quale egli non aveva partecipato.

Nel corso del giudizio, Caia proponendo ricorso ex art. 700 c.p.c., ottiene temporaneamente il diritto di restare in casa, ma all’esito del giudizio ordinario le sue domande vengono respinte.

In secondo grado, però la Corte d’Appello, confermando il contenuto del provvedimento ex art. 700 c.p.c. le riconosce di nuovo il diritto di abitazione, rilevando come essendo stata accolta la revocatoria ed essendo divenuto a lei inopponibile l’atto di compravendita, ella non avesse necessità di far valere nei confronti di Sempronio il contenuto della sentenza di divorzio, essendo sufficiente che tale titolo fosse utilizzato contro Tizio. Sempronio ricorre per cassazione.

Sintesi della questione. La problematica.

Il problema affrontato dalla sentenza in esame riguarda la natura dell’azione revocatoria e l’utilizzabilità della stessa ai fini della tutela del diritto di abitazione riconosciuto al coniuge dell’alienante.

La normativa.

Codice Civile

Articolo 2901

Condizioni

[1] Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:

1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;

2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.

[2] Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.

[3] Non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto.

[4] L'inefficacia dell'atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione.

Articolo 2902

Effetti

[1] Il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell'atto impugnato.

[2] Il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall'esercizio dell'azione revocatoria, non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell'atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto.

Articolo 2740

Responsabilità patrimoniale

[1] Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

[2] Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge

Legge 1 dicembre 1970, n. 898

Articolo 6

1. L'obbligo, ai sensi degli articoli 147 e 148 del codice civile, di mantenere, educare ed istruire i figli nati o adottati durante il matrimonio di cui sia stato pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili, permane anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori.

2. Il Tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio dichiara a quale genitore i figli sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Ove il Tribunale lo ritenga utile all'interesse dei minori, anche in relazione all'età degli stessi, può essere disposto l'affidamento congiunto o alternato.

3. In particolare il Tribunale stabilisce la misura ed il modo con cui il genitore non affidatario deve contribuire al mantenimento, all'istruzione e all'educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi.

4. Il genitore cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del Tribunale, ha l'esercizio esclusivo della potestà su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal Tribunale. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non siano affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al Tribunale quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.

5. Qualora il genitore affidatario non si attenga alle condizioni dettate, il Tribunale valuterà detto comportamento al fine del cambio di affidamento.

6. L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'art. 1599 del codice civile.

7. Il Tribunale dà inoltre disposizioni circa l'amministrazione dei beni dei figli e, nell'ipotesi in cui l'esercizio della potestà sia affidato ad entrambi i genitori, circa il concorso degli stessi al godimento dell'usufrutto legale.

8. In caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, il Tribunale procede all'affidamento familiare di cui all'art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184.

9. Nell'emanare i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento, il giudice deve tener conto dell'accordo fra le parti: i provvedimenti possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l'assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d'ufficio dal giudice, ivi compresa, qualora sia strettamente necessario anche in considerazione della loro età, l'audizione dei figli minori.

10. All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito, e, nel caso previsto dal comma 8, anche d'ufficio. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare.

11. Nel fissare la misura dell'assegno di mantenimento relativo ai figli il Tribunale determina anche un criterio di adeguamento automatico dello stesso, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria.

12. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.

La soluzione accolta dalla Corte di Cassazione (Sezione II Civile, 22 maggio 2007, n. 11830).

La Seconda Sezione, riprendendo il contenuto di un precedente del 2003 (Cass.sent.n. 5455/2003), chiarisce natura, funzione ed effetti della, cosiddetta, actio pauliana:

  • l’azione revocatoria ha la sola funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata dall’intero patrimonio del debitore ex art. 2740 c.c.;

  • essa, dunque, è esperibile nei casi in cui la consistenza di quel patrimonio sia stata ridotta da atti dispositivi pregiudizievoli rispetto alla realizzazione coattiva del credito;

  • è correlata all’esercitabilità, in caso di esito favorevole, di un’azione esecutiva sul bene o sui beni trasferiti con l’atto revocato;

  • pur dovendosi riconoscere che nel concetto di credito lato sensu rientrino non solo situazioni giuridiche aventi ad oggetto la prestazione di dare somme di denaro, ma anche prestazioni di fare e non fare o di consegna o rilascio, tale interpretazione non può essere utilizzata nell’applicazione dell’istituto dell’actio pauliana;

  • dal combinato disposto degli artt. 2901 e 2902 c.c., infatti, è dato desumere che l’azione, ove esperita vittoriosamente, non determina l’invalidità dell’atto di disposizione compiuto dal debitore, ma un’inefficacia relativa, limitata a concedere la possibilità al creditore che abbia agito in revocatoria di procedere, nei limiti del suo credito, all’espropriazione nei confronti del terzo acquirente e di essere preferito ai creditori di quest’ultimo nel soddisfacimento della sua pretesa;

  • non è tutelabile tramite azione revocatoria il diritto di abitazione sulla casa coniugale, attribuito in sede di separazione o divorzio, né in via di azione diretta, né in via di eccezione all’esecuzione per rilascio promossa dall’acquirente.