Il reato di ricettazione

1) La sanzione delle condotte di ricezione. Al fine di limitare gli effetti della commissione dei reati, il legislatore tende a colpire la condotta di chi riceve o acquista beni di origine delittuosa, o comunque si intromette in operazioni del genere.

In questo modo si vuole evitare che il pregiudizio economico causato dal delitto presupposto si consolidi ed inoltre che le indagini siano ostacolate dalla dispersione dei beni di origine illecita. In generale il legislatore mira a scoraggiare l’interesse per le cose derivanti da reato.

Sulle ali dell’intento repressivo sono state così predisposte varie fattispecie sanzionatorie, di natura penale ed amministrativa, vertenti apparentemente sulla stessa condotta, il cui delicato coordinamento è quindi compito dell’interprete.

a) Cenni sulla ricettazione. L’ipotesi criminosa principale è rappresentata dalla ricettazione ex art. 648 c.p. Con tale disposizione è punito, con la reclusione da 2 ad 8 anni e con la multa da 516 a 10329 €, la condotta dolosa di chi, al fine di procurare a sé o ad altri profitto, acquista, riceve od occulta cose provenienti da delitto (o si intromette in tali attività).

Presupposto del reato è che altri abbiano commesso un qualsiasi delitto, che quindi non deve essere necessariamente contro il patrimonio. Non ne è indispensabile l’accertamento giudiziale, purché si deduca con certezza in base a prove logiche. Dal 3° comma emerge che la ricettazione si configura pure se l’autore del delitto presupposto non è imputabile, punibile o manchi una condizione di procedibilità. La Cassazione (Cass. pen., sez. II, 4 luglio 2003, n. 36281) ha ritenuto inapplicabile l’art. 2, comma 2° c.p. in caso di abrogazione successiva (sulla complessa tematica vedi parere n. 1).

Per quanto riguarda il soggetto attivo, l’incipit della norma esclude che possa essere autore della ricettazione colui che ha commesso il reato da cui i beni provengono. Dunque chi commissiona il delitto presupposto concorre nella sua realizzazione come istigatore ed è punibile a tale titolo, mentre la successiva condotta di ricezione rileva come mero post factum non punibile.

L’oggetto materiale è costituito da denaro o cose provenienti da delitto. La giurisprudenza vi comprende i servizi, l’energia o programmi di know how, mentre si divide riguardo gli immobili. Come si vedrà sub 2a, si è discusso se l’espressione utilizzata riguardi esclusivamente il provento o prezzo del reato o si estenda anche a ciò che ne costituisce profitto o prodotto.

L’elemento soggettivo è caratterizzato dalla consapevolezza della provenienza delittuosa, che non significa conoscenza dettagliata degli autori e delle modalità del reato presupposto, ma semplice cognizione dell’origine illecita, quale essa sia. Si discute (vedi sub b), se la ricettazione comprenda il dubbio. Inoltre l’art. 648 c.p. prevede il dolo specifico del fine di profitto. La genericità del termine consente di comprendervi qualsiasi vantaggio (anche di natura politica o morale).

Si discute se il profitto debba essere ingiusto. In caso contrario anche chi riceve il denaro d’origine illecita in pagamento di un credito sarebbe soggetto a pena.

Aldilà di questo caso, è irrilevante lo scopo con cui il ricettatore si determina all’acquisto. Ciò significa che chi compra consapevolmente dal venditore ambulante oggetti con segni palesemente contraffatti integra gli estremi del grave reato ex art. 648 c.p. Per escludere tali estreme conseguenze, parte della giurisprudenza ha tentato la via di negare la natura illecita di un tale tipo di falsificazione dei segni distintivi. Infatti le particolarità delle condizioni di vendita (luogo, modi e prezzo) renderebbero palese la natura del bene: di conseguenza si tratterebbe di falso grossolano inoffensivo e l’acquisto dei prodotti contraffatti sarebbe lecito. Questa ricostruzione è stata poi smentita da successive sentenze, per cui la palese falsità non può dedursi da circostanze esterne all’oggetto della contraffazione. Di conseguenza in alcuni casi è intervenuto il legislatore per depenalizzare la condotta di chi acquista per fini esclusivamente personali (vedi sub d).

Infine, riguardo ai rapporti con le figure concorrenti, si può tendenzialmente affermare che la ricettazione è destinata a lasciare spazio alle previsioni che incriminano specificamente la ricezione di un determinato bene di origine illecita. Ad esempio, in applicazione del principio di specialità ex art. 15 c.p., gli artt. 453, n. 3/4 e 455 c.p., che sanzionano chi acquista, riceve o detiene monete contraffate o alterate al fine di metterle in circolazione, sono destinati a prevalere sull’art. 648 c.p.

b) Rapporto tra art. 648 ed art. 712 c.p. La contravvenzione del cosiddetto incauto acquisto, sanzionata con l’arresto fino a 6 mesi o l’ammenda non inferiore a 10 €, ricalca sostanzialmente la condotta di acquisto o ricezione incriminata dall’art. 648 c.p. La particolarità è rappresentata dalla sospetta provenienza dei beni da delitto o anche da contravvenzione e, nonostante ciò, dal mancato accertamento della legittimità della loro origine. Il diverso trattamento sanzionatorio rende estremamente rilevante la fissazione dei confini tra le due fattispecie, che evidentemente non si cumulano ponendosi, secondo alcuni, in rapporto di specialità unilaterale, secondo altri di sussidiarietà o addirittura di incompatibilità.

Qualora il denaro o le cose derivino da delitto, dottrina e giurisprudenza rinvengono il criterio distintivo nel dato soggettivo: la condotta dolosa costituisce ricettazione, mentre quella colposa integra gli estremi dell’incauto acquisto. Infatti, secondo i principi generali, la configurazione del reato ex art. 648 c.p. pretende la consapevolezza dell’origine dei beni acquistati. Di conseguenza la fattispecie contravvenzionale, che rimprovera il mancato riscontro del sospetto, incrimina la negligenza.

Tesi dell’incompatibilità del dolo eventuale con la ricettazione. Del resto c’è chi ha contestato che la ricezione effettuata accettando il rischio dell’origine illecita possa rientrare nell’ambito della fattispecie delittuosa, cosicché il dolo eventuale esulerebbe dalla portata dell’art. 648 c.p. Infatti dal testo della contravvenzione si dovrebbe trarre che al dubbio dell’acquirente corrisponde il meno rigoroso trattamento dell’art. 712 c.p.

Mentre in passato prevalevano le pronunce di incompatibilità fra ricettazione e dolo eventuale, valorizzando l’identità tra il sospetto menzionato nella contravvenzione e la condotta dubitativa della forma meno intensa del dolo, attualmente la Corte di Cassazione si muove nella direzione opposta (v. da ultimo Cass. pen., sez. II, 6 aprile 2001), sicché sarebbe auspicabile un intervento delle Sezioni Unite.

Argomenti a favore della compatibilità. L'orientamento più recente si fonda sul dato letterale dell'art. 648 il quale, parlando genericamente di "denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto", non contiene alcun riferimento alla necessità di una consapevolezza certa, a differenza di quanto accade, ad esempio, nel delitto di calunnia ("chiunque…incolpa di un reato taluno che sa innocente"); sebbene non si possano sopravvalutare oltre una certa misura indizi puramente formali - come alcuni autori fanno notare -, occorre pur sempre tener conto del principio di tassatività.

Inoltre si osserva che, col negare la rilevanza, ai fini della ricettazione, del dolo eventuale, si incentiva di fatto l'omissione di accertamenti sulla legittimità dei beni, pur in presenza di sospetti al riguardo: l'agente avrebbe tutto l'interesse a non effettuare tale verifica dato che al più risponderebbe della contravvenzione, mentre in caso di esito positivo della verifica si troverebbe a dover rispondere di ricettazione.

c) Rapporto tra 648 c.p. ed art. 12 l. 197/1991. Le Sezioni unite, con la sentenza n. 22902 del 28 marzo 2001 hanno, tra l’altro, chiarito la relazione tra il reato di ricettazione e quello di acquisizione di carte di credito, o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante, di provenienza illecita o comunque falsificato, previsto dall’art. 12, 2° inciso, l. 197/1991.

La tesi della specialità. L’indirizzo sconfessato dalle Sezioni unite (ad esempio Cass. pen., sez. II, 9 gennaio 1998, n. 30) ha sostenuto la sussistenza di un rapporto di specialità tra le due fattispecie. In particolare in entrambe sarebbero presenti i medesimi elementi strutturali con l’unica differenza che la previsione della legge speciale riguarda un oggetto specifico. Di conseguenza si sarebbe dovuta applicare una sola delle norme in concorso, ed in particolare quella della legge speciale, che contempla una sanzione inferiore (reclusione da 1 a 5 anni).

Il rapporto di sussidiarietà. La Suprema Corte ha, invece, escluso questa soluzione. Sicuramente non c’è specialità unilaterale, ma eventualmente specialità bilaterale, in quanto l’art. 12 è speciale per specificazione perché contempla un oggetto materiale specifico e l’art. 648 c.p. è altrettanto speciale per specificazione perché si riferisce soltanto ai beni provenienti da delitto.

Pur se non utilizzano esplicitamente l’espressione, le Sezioni unite optano per un rapporto di sussidiarietà. Infatti i campi di applicazione delle due norme non sarebbero in alcun modo sovrapposti, quanto invece distinti e complementari tra loro.

L’art. 12, introdotto specificamente per contrastare il grave fenomeno del riciclaggio del denaro sporco, ha la finalità di estendere la repressione penale. Ciò è dimostrato dal fatto che la seconda parte di tale disposizione contiene la nuova incriminazione della falsificazione di atti privati senza la necessità dell’uso del documento, come invece pretende l’art. 485 c.p. che tra l’altro prevede una pena più blanda. Allo stesso modo viene estesa la tutela penale anche a condotte di ricezione di beni di origine illecita che prima non avevano rilevanza. Infatti la nuova norma comprende ogni ipotesi di provenienza illegittima, e non solo quella delittuosa.

Di conseguenza, qualora la carta di credito acquistata derivi da un illecito civile, amministrativo o penale contravvenzionale sarà possibile applicare la sanzione penale grazie alla norma speciale. L’acquisto di carta di origine delittuosa, invece, rimane sanzionato dall’art. 648 c.p. In questo modo si comprende perché la nuova norma commina una pena meno grave rispetto a quella codicistica. Se, invece, si optasse per la tesi della specialità unilaterale o bilaterale, si dovrebbe concludere per la prevalenza della disposizione contenuta nella disciplina speciale, con conseguente paradossale mitigazione del trattamento sanzionatorio, nonostante l’opposta ratio dell’intervento legislativo.

d) Rapporto tra art. 648 c.p. e illeciti amministrativi di acquisto di CD abusivi. Il fenomeno della duplicazione e commercializzazione di supporti audiovisivi, fonografici, informatici o multimediali, non conformi alle prescrizioni legali, negli ultimi anni è stato più volte oggetto dell’attenzione del legislatore, che ha introdotto varie figure di illecito amministrativo destinate a coordinarsi tra loro e con le fattispecie penali che regolano la stessa materia.

I vari illeciti amministrativi. In primis l’art. 16 della l. n. 248 del 2000 ha introdotto nella legge sul diritto d’autore l’art. 174 ter, che ha previsto una sanzione amministrativa pecuniaria per l’acquisto o noleggio di supporti abusivi. I rapporti con le norme penali erano regolati dalla clausola di riserva “purché il fatto non costituisca concorso nei reati ex art. 171 e ss. l. n. 633 del 1941”. I reati cui è fatto rinvio sono quelli contemplati dalla legge sul diritto d’autore per la duplicazione, riproduzione, distribuzione, vendita, noleggio, detenzione a scopo commerciale di programmi informatici, banche dati, opere dell’ingegno, dischi, nastri o supporti analoghi, etc.

Tale disposizione è stata sostituita dall’art. 28 D. Lgs. n. 68 del 2003 che ha continuato a sanzionare (sanzione pecuniaria di 154 € o fino a 1032 € se il fatto è grave + confsca e pubblicazione del provvedimento), tra l’altro, l’acquisto o noleggio di tali beni di origine illecita “purché il fatto non concorra con i reati di cui agli artt. 171 e ss.”.

Da ultimo, la l. n. 80 del 2005 ha previsto la sanzione amministrativa fino a 10000 € per l’acquisto o l’accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, di cose che inducano a ritenere che siano violate le norme in materia di proprietà intellettuale, “salvo che il fatto costituisca reato”.

Le Sezioni unite sono state così chiamate al difficile compito di chiarire l’intricata trama dei rapporti tra le disposizioni citate con le omologhe previsioni codicistiche degli artt. 648 e 712. Se a prima vista si potrebbe optare per un rapporto di specialità unilaterale, con prevalenza dell’illecito amministrativo in quanto norma speciale ex art. 9 l. n. 689 del 1981, le clausole di riserva che connotano le fattispecie della legge sul diritto d’autore complicano notevolmente la questione.

Rapporto con l’art. 174 ter prima versione. Con riguardo al rapporto tra ricettazione e l’originaria formulazione dell’art. 174 ter si sono contrapposti due orientamenti giurisprudenziali.

a Secondo il primo (Cass. pen., sez. III, 16 aprile 2004, n. 23855), la sanzione amministrativa avrebbe avuto lo scopo di depenalizzare la ricezione o l’acquisto per uso personale. Diversamente, in caso di acquisto per scopi commerciali, avrebbe avuto campo l’art. 648 c.p., eventualmente in concorso con il reato speciale dell’art. 171 ter che incrimina, tra l’altro, la detenzione per la vendita e la commercializzazione di supporti abusivi.

Tale ricostruzione si fonda sull’interpretazione della clausola di riserva per cui l’illecito amministrativo sarebbe dovuto essere escluso sia nei casi di concorso di persone nei reati indicati, sia nelle ipotesi di concorso di quei reati. Di conseguenza, se l’acquirente avesse poi commesso altresì il reato di detenzione a scopo commerciale, allora si sarebbe rientrati nell’ambito della clausola di riserva, con esclusione dell’illecito amministrativo ed applicazione dell’art. 648 c.p. Altrimenti si sarebbe avuto un paradossale trattamento di favore riguardo ad un fenomeno particolarmente grave.

a Le Sezioni unite, nella sentenza n. 47164 del 2005, hanno sconfessato la ricostruzione appena accennata, affermando il seguente assetto della repressione in materia.

La clausola di riserva, per come era stata formulata (“concorso nei reati…”), alludeva ai soli casi in cui la ricezione dei supporti abusivi avesse costituito concorso di persone nei reati ex art. 171 e ss. c.p., e non anche alle ipotesi di concorso di reati. In altri termini, non diversamente da quanto sancito dall’art. 648 c.p., il legislatore aveva semplicemente voluto precisare che la responsabilità per concorso nei reati presupposti preclude quella per la successiva condotta ricettiva. In particolare, se l’acquirente aveva commissionato la duplicazione o riproduzione, il suo comportamento avrebbe avuto la rilevanza di contributo morale a tale reato. Così come avviene nella ricettazione, allo stesso modo l’illecito amministrativo può essere commesso solo ed esclusivamente da chi non aveva concorso ai reati degli articoli precedenti.

Dunque, fuori da queste ipotesi l’illecito amministrativo doveva ritenersi sempre applicabile, a prescindere dal fine personale o commerciale, con prevalenza sulla ricettazione data la natura speciale.

Rapporto con l’attuale testo dell’art. 174 ter. La modifica del 2003 ha riformulato la clausola di riserva, così da distinguere l’ambito applicativo dell’illecito amministrativo e del reato sulla base dell’utilizzo per cui avviene l’acquisto. Il nuovo testo dell’inciso dell’art. 174 ter non si riferisce solo al concorso di persone, come nella precedente versione, ma anche al concorso di reati (infatti viene ora usata l’espressione di concorsocon i reati…”).

In questo modo si eccettuano dal contesto dell’illecito amministrativo, con conseguente attribuzione all’alveo penalistico, non solo i fatti compiuti da chi ha precedentemente concorso negli altri reati in violazione delle norme sulla proprietà intellettuale, ma anche le ipotesi in cui l’acquisto o il noleggio si accompagni al successivo reato di detenzione per il commercio.

Di conseguenza, qualora l’acquisto costituisca un contributo morale alla realizzazione degli illeciti ex artt. 171 e ss., allora si configurano esclusivamente tali reati ed il successivo acquisto non è punibile. Se la condotta di ricezione è realizzata per fini personali, allora ricorre il mero illecito amministrativo. Qualora la ricezione avvenga per fini commerciali, allora sarà seguita dalla detenzione per la distribuzione e dalla messa in vendita. Di conseguenza si configura il concorso con il reato ex art. 171 ter. Viene integrata, così, l’eccezione della clausola di riserva, con conseguente applicazione dell’art. 648 c.p. (in concorso materiale, come si vedrà, con l’ert. 171 ter).

Ovviamente la punibilità dell’acquisto o ricezione a fini commerciali consegue alla novella del 2003, che ha previsto di nuovo la sanzione penale per un tale comportamento, con la conseguenza dell’applicazione dell’art. 2, comma 1° c.p. per i fatti commessi antecedentemente.

e) Rapporto tra art. 712 ed illeciti amministrativi. Le Sezioni unite, in obiter dictum, colgono l’occasione per delineare, altresì, i rapporti tra la contravvenzione ex art. 712 c.p. e le figure d’illecito amministrativo che ad essa si affiancano nel reprimere lo stesso fenomeno.

Rapporto con l’art. 174 ter. Con riferimento all’art. 174 ter, nelle due successive versioni analizzate, si può rinviare a quanto illustrato supra, tenendo conto che l’art. 712 descrive una condotta sostanzialmente analoga all’art. 648, mutando solo l’aspetto colposo dell’elemento soggettivo e gli illeciti amministrativi si estendono anche alle condotte commesse per colpa in base all’art. 3 l. n. 689 del 1981.

Rapporto con l’art. 2, comma 7° l. n. 80 del 2005. Con riferimento alla nuova fattispecie prevista nel 2005, le Sezioni unite constatano la pressoché totale identità strutturale tra l’illecito amministrativo e la figura contravvenzionale codicistica.

a Da questo potrebbe dedursi che la novella del 2005 abbia voluto depenalizzare il comportamento di chi acquista senza accertare la legittima provenienza di cose per cui sussista il sospetto di violazione delle norme sulla proprietà intellettuale. Tale conclusione però solleva alcune perplessità. In particolare non si deve dimenticare che già l’art. 174 ter esclude il rilievo penale dell’acquisto per uso personale. Di conseguenza la legge del 2005, cui è sotteso un intento repressivo, tornerebbe contraddittoriamente a depenalizzare l’acquisto con successiva messa in commercio che invece l’intervento del 2003 aveva di nuovo sottoposto a pena.

a Le Sezioni unite interpretano la norma sulla base della clausola di riserva che fa salvi i fatti che costituiscono reato, optando per il rapporto di sussidiarietà con l’art. 712 c.p. Quanto già rientra nell’art. 712 c.p., e costituisce illecito penale, è destinato a rimanere tale. Non vi è, dunque, alcuna depenalizzazione. Al contrario la nuova fattispecie estende la repressione dell’acquisto abusivo di supporti informatici od audiovisivi aldilà di quanto è previsto dal Codice.

In particolare, se la violazione delle norme sulla proprietà intellettuale integra gli estremi del reato, allora l’acquisto rientra nell’alveo dell’art. 712 c.p. Se la violazione non costituisce reato, ma mero illecito civile o amministrativo, allora opera la nuova fattispecie di illecito amministrativo, che colpisce condotte di acquisto prima esenti da sanzione.

a La soluzione della Cassazione pare ineccepibile alla luce del testo della clausola di riserva. Nonostante ciò, emergono alcuni punti ambigui.

Innanzitutto sarà necessario chiarire la relazione con l’art. 174 ter. Sembra plausibile riferire quest’ultima previsione all’acquisto seguito da un uso esclusivamente personale, relegando l’incauto acquisto di provenienza illecita ma non penalmente rilevante alle ipotesi di successiva immissione in commercio. Così si spiegherebbe il maggiore rigore di tale disposizione.

Del resto non può non essere notata l’assurda situazione per cui l’illecito amministrativo, destinato a regolare ipotesi meno gravi rispetto al reato, è caratterizzato da una pena pecuniaria assai più affittiva della fattispecie contravvenzionale ex art. 712 c.p.

Infine non viene chiarito quali siano le ipotesi di violazione delle norme sulla proprietà intellettuale che non costituiscono reato. In particolare rimane il dubbio su quale sia la sanzione da applicare nel classico caso di chi acquista dal venditore ambulante.

2) IL COORDINAMENTO TRA REATI DI RECEZIONE E REATI DI DETENZIONE PER LA VENDITA. La giurisprudenza si è varie volte occupata dei rapporti del reato di ricettazione (o incauto acquisto) con la distinta fattispecie criminosa che incrimina le condotta successiva all’acquisto.

a) Rapporto tra art. 648 ed art. 474 c.p. In particolare le Sezioni unite, con la sentenza n. 12 del 9 maggio 2001, hanno chiarito la relazione intercorrente con il delitto di commercio di prodotti con segni falsi, che sanziona, tra l’altro, chi detiene per vendere o pone in vendita opere dell’ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni distintivi contraffatti o alterati.

Tesi della prevalenza dell’art. 474 c.p. Secondo l’orientamento che le Sezioni unite hanno respinto, si sarebbe dovuto applicare esclusivamente il reato ex art. 474 c.p. (ad esempio Cass. pen., V, 18 novembre 1999, n. 5525).

a In alcuni casi è stato ritenuto di ravvisare il rapporto di specialità, con prevalenza della norma in tema di segni contraffatti, in quanto meglio qualificherebbe il fatto pur se presidiata da pena minore (reclusione fino a 2 anni contro quella da 2 a 8 anni della ricettazione).

a Secondo un’altra argomentazione l’attività di acquisto o di ricezione è presupposto necessario della detenzione per la vendita, così che realizza un antefatto non punibile. In particolare, l’art. 474 c.p., oltre a tutelare la pubblica fede, sarebbe volto a proteggere altresì il bene giuridico del patrimonio, che costituisce oggetto del reato di ricettazione. Di conseguenza sussisterebbe quella omogeneità di disvalore che consente l’applicazione del principio di consunzione.

a La tesi più estrema ha optato per l’incompatibilità del reato ex art. 648 c.p.. Infatti la merce con marchio contraffatto costituisce prodotto e non provento del reato di contraffazione. Di conseguenza non sarebbe configurabile alcun acquisto di cosa “proveniente” da delitto.

Le censure delle Sezioni unite. Gli argomenti dedotti a favore dell’applicabilità del solo art. 474 c.p. sono tra loro contradditori e non cumulabili, rendendo palese la loro infondatezza.

a La Suprema corte ha innanzitutto escluso che possa applicarsi il principio di specialità ex art. 15 c.p. Infatti nota la totale diversità sia dell’elemento materiale che dell’elemento psicologico del reato, nonché del bene giuridico tutelato.

L’art. 474 c.p. prende in considerazione solo la condotta successiva all’acquisto o ricezione del bene. Vi è, quindi, eterogeneità sul piano oggettivo, nonostante la possibile contiguità temporale delle condotte.

Sotto l’aspetto soggettivo, l’art, 474 c.p. non esige che al momento della ricezione vi sia la consapevolezza della falsità del marchio. Ciò invece rappresenta un elemento costitutivo della ricettazione.

Infine, l’art. 474 c.p. tutela esclusivamente la pubblica fede commerciale non estendendo la propria protezione anche al patrimonio, cui provvede l’art. 648 c.p.

a Né si potrebbe sostenere che l’acquisto costituisce un ante factum non punibile del commercio di prodotti con segni falsi. Innanzitutto non esiste alcuna clausola di riserva che faccia propendere per tale conclusione. Ma anche ammettendo la vigenza di un principio innominato di consunzione, sarebbe scorretto ritenere che tra i due reati sussista un rapporto di mezzo a fine secondo l’id quod plerunque accidit. Infatti si può buon verificare un acquisto senza la consapevolezza del carattere contraffatto dei segni. In ogni caso, affinché possa operare il criterio della consunzione, la fattispecie di reato cosiddetta consumante, che esprime per intero il disvalore del fatto complessivo, deve essere sanzionata in modo significativamente più grave. Di conseguenza, il fatto che per essa sia invece previsto un trattamento assai più benevolo, sta a dimostrare che, nell’incriminazione del commercio di prodotti con segni falsi, della possibile precedente ricettazione non si è tenuto conto.

a Infine viene censurata la tesi dell’incompatibilità tra i due reati.

E’ vero che in alcuni casi il legislatore ha distinto tra cose che costituiscono profitto, prodotto o prezzo (provento) del reato. Ad esempio ciò avviene nella disciplina della confisca, obbligatoria ex art. 240 c.p. solo per quest’ultima categoria di beni. Di conseguenza l’utilizzo di un termine, anziché di un altro, potrebbe far ipotizzare ripercussioni sull’individuazione dell’oggetto materiale del reato.

Ma l’espressione “bene proveniente da delitto”, contenuta nell’art. 648 c.p., deve essere intesa in modo assolutamente generico, alla luce della ratio di colpire ogni acquisizione patrimoniale di origine delittuosa. Si creerebbe altrimenti una irragionevole disparità di trattamento tra beni di matrice comunque illecita.

b) Rapporto tra art. 648 c.p. ed art. 171 ter l. n. 633 del 1941. Le Sezioni unite, con la sentenza del 2005, hanno poi risolto una questione analoga a quella di cui supra, escludendo il concorso apparente di norme tra la ricettazione e la detenzione o immissione in circolazione di supporti audiovisivi o informatici, contemplata dall’art. 171 ter della legge sul diritto d’autore.

Tesi della specialità. Anche riguardo al rapporto tra tali due fattispecie parte della giurisprudenza (ad esempio Cass. pen., sez. III, 23 settembre 2004) aveva ritenuto sussistere un rapporto di specialità, in quanto la norma codicistica comprende tutti gli elementi costitutivi di quella speciale, la quale descrive più specificamente le condotte ricomprese nella prima. Di conseguenza sarebbe dovuta prevalere la più blanda disposizione ex art. 171 ter.

Le censure. La Cassazione ha smentito una tale affermazione, richiamando, tra l’altro, le argomentazioni utilizzate nella sentenza sopra citata in materia di commercio di prodotti con segni falsi. Infatti le fattispecie sono indiscutibilmente diverse dal punto di vista strutturale, così che non è ravvisabile alcun rapporto di specialità.

Per quanto riguarda la teoria della consunzione o assorbimento, poi, le Sezioni unite si sono espresse in senso assolutamente contrario (vedi l’approfondimento del parere precedente sub 5c), in quanto poggia su valutazioni assolutamente discrezionali ed intuitive che contrastano con il principio di legalità.