Omicidio colposo, guida in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di stupefacenti

In buona sostanza all'agente verrà contestato o l'ipotesi di cui all'art. 589 co. 2° c.p. (in caso di morte) o l'ipotesi di cui all'art. 590 c.p. (in caso di lesioni, solo nell'evenutalità che la parte offesa sporga querela entro novanta giorni dall'evento).

A tali imputazioni potrà essere affiancata o la contestazione dell'art. 186 Cds o quella dell'art. 187 Cds a seconda della tipologia della sostanza indebitamente assunta.

E' di tutta evidenza, dunque, che – in questa fase – la condotta dell'agente viene punita sotto il profilo esclusivamente e puramente colposo, cioè si ritiene che l'incidente stradale sia stata determinato da una responsabilità che si fonda su di una colpa del soggetto.

Le conseguenze letali o lesive manifestatesi non sono, quindi, state volute dall'agente né preventivamente, né in corso di verificazione dei fatti.

Si evidenzia, altresì, come l'elemento soggettivo della colpa venga configurato attraverso il ricorso a due principali elementi indicati dall'art. 43 co. 1 teza parte c.p. “l'imprudenza” oppure “l'inosservanza di leggi o regolamenti”.

La struttura normativa attuale non tiene, infatti, in alcun conto la circostanza che, nell'iter progressivo di commissione del fatto, interviene purtroppo spesso, in maniera eziologicamente decisiva, una condotta dolosa assolutamente rilevante e che consiste nella sciente e consapevole assunzione da parte dell'autore del fatto illecito – in spregio a precetti di contenuto penalmente indiscutibile – di sostanze (stupefacenti od alcool) che sono fortemente idonee ad alterare la di lui capacità di conduzione di un veicolo nel traffico.

La normativa codicistica vigente, infatti, appare predisposta allo scopo di punire comportamenti tipicamente connotati da carattersi di negligenza od imprudenza od imperizia, cioè situazioni nelle quali si appalesi un errore di valutazione compiuto dal soggetto circa la necessaria mancanza di rischi o di pericolo per la circolazione e quindi di manovre di emergenza per il conducente (Cfr. Cass. civ. Sez. III, 18-02-1998, n. 1724 , Zoccoli c. Soc. Allsecures assicur., Mass. Giur. It., 1998).

L'errore efficiente nella sequenza finalisticamente rilevante avviene e si sviluppa, pertanto, all'interno di una situazione di “normalità ed idoneità” delle condizioni soggettive (sia fisica, che sopratutto psichiche) in cui la persona versa.

Tale condizione di ideazione e rappresentazione della realtà viene, dunque, turbata, distorta ed alterata solamente da una valutazione ex parte del tutto soggettiva, ancorchè errata, ma che non è affatto cagionata da una incapacità naturale del soggetto, sopravvenuta quale conseguenza di un comportamento volontario, quale la situazione in cui si viene a trovare chi abbia dato corso all'assunzione di sostanze vietate.

La responsabilità nei casi cd. “di normalità colposa” consiste, dunque, in un'involontaria deroga a quei severi doveri di prudenza e diligenza richiesti normativamente per fare fronte a situazioni di pericolo e che sono imposti, anche quando siano determinate da altri comportamenti irresponsabili; sicchè la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sè condotta negligente (Cfr. Cass. pen. Sez. IV, 28 marzo 1996, n. 4257, Cass. pen. Sez. IV, 28-03-1996, n. 4257, Lado, Cass. Pen., 1997, 1014, Riv. Polizia, 1997, 1014).

Si tratta, all'evidenza, di una situazione assolutamente diversa da quella in cui si viene a trovare un soggetto che, anteriormente, alla scelta di porsi alla guida di un veicolo a motore, pur consapevole del divieto di condurre un mezzo in precise condizioni personali e, quindi, affatto ignaro l'illiceità della propria condotta (in relazione al successivo comportamento che andrà a tenere) assuma le sostanze vietate, più volte ricordate.

E' questo, quindi, un comportamento fortemente coaratterizzato dalla presenza di una componente di dolo, perchè a mente dell'art. 43 co. 1 prima parte c.p. “e' doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che e' il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, e' dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione” e non si può certo sostenere che l'ingestione di droghe od alcoolici sia frutto di una mera imprudenza od inosservanza di leggi o regolamenti etc..

In realtà, appare del tutto evidente che la composita costruzione (o ricostruzione) di una vicenda, nella quale emergano quali dati in fatto

  1. un incidente stradale,

  2. la presenza di persone ferite o decedute,

  3. lo stato di provata alterazione psico fisica di colui che abbia provocato il sinistro,

non rientra sic et simpliciter in una sistematica di omicidio doloso, cioè nello stereotipo dell'omicidio volontario di cui all'art. 575 c.p., né tanto meno nello spettro della norma di cui all'art. 584 c.p. che regola la preterintenzione.

La natura ibrida della condotta globalmente considerata ci permette di ritenere di essere in presenza di un dolo iniziale che ripiega nel prosieguo su di un profilo di colpa.

ANALISI DELL'ELEMENTO PSICOLOGICO

Il dolo che si appalesa inizialmente, in una situazione del tipo di quella che si sta rappresentando, si riferisce, senza dubbio, alla condotta che il soggetto tiene, assumendo consapevolmente taluna delle sostanze più volte citate (droga do alcool).

Il mero comportamento assuntivo del singolo, in sé e per sé ed avulso da ulteriori condotte penalmente rilevanti, non integra, né può integrare, affatto una violazione di legge penale, salvo che non venga concretamente ravvisato il superamento dei limiti dati – per l'ubriachezza - dagli artt. 687 e 688 c.p..

Per quanto attiene, invece, agli stupefacenti, pur non essendo assolutamente configurabile un diritto del singolo a drogarsi, si deve osservare che il consumatore (non cedente o spacciatore) di sostenze stupefacenti, che detenga sostanza psicotropa nei limiti di cui al co. 1 bis dell'art. 73 d.p.r. 309/90, è perseguibile solamente sul piano amministrativo, ai sensi dell'art. 75.

Giovi, però, aprire (e chiudere illico et immediate) una breve parentesi esplicativa, proprio per precisare che l'art. 75 (novellato dalla L. 49 del 2006)1 costituisce una delle più importanti conferme di quanto si va sostenendo, se è vero che al co. 1 detta norma prevede la sospensione della patente di guida o divieto di conseguirla.

Si tratta di una scelta normativa, che dimostra l'alta pericolosità della situazione che si riconnette all'uso di stupefacenti al punto da imporre un imtervento di natura esclusivamente preventiva nei confronti di colui o coloro che vengano trovati nella disponibilità di modiche quantità di droga.

Ciò posto e premesso, è evidente la necessità di pervenire alla focalizzazione di quale debba essere l'elemento psicologico cui fare riferimento nella situazione specifica che si verifica – come detto – laddove l'incidente stradale sia stato provocato da un conducente che versava nello stato di alterazione richiamato e sia conseguiti effetti lesivi o letali.

Non pare dubbio che – in proposito, vertendo in un ambito di progressione criminosa – si debba tenere in considerazione, originariamente, tutte le fasi dell'evoluzione psicologica del soggetto.

Come affermato, esse – sotto il profilo sostanziale – sono due, l'una dolosa, l'altra colposa, giacchè è chiaro che la conseguenza lesiva che la condotta del conducente del veicolo provoca a terzi non è voluta.

Ciò nonostante, reputo che si debba accordare preliminare peso specifico al profilo doloso, posto che esso opera pregnante riferimento ad un comportamento che, pur non essendo in radice configurante reato, diviene in itinere, invece, vero e proprio illecito penale, ai sensi dell'art. 186 o 187 Cds (a seconda dei casi).

In quest'ottica, dunque si è in presenza di una condotta (il bere od il drogarsi) che, associata, al condurre un veicolo a motore, assume veste di reato doloso e si pone come elemento propedeutico o prodromico eziologicamente rilevante rispetto a precise conseguenze fattuali e giuridiche (incidente stradale con lesioni o morte).

Si deve, dunque, valutare se una simile progressione criminosa possa (con qualche correzione al testo vigente) rientrare nello stereotipo di cui all'art. 586 c.p., oppure se sia necessario fare un passo ulteriore in avanti.

In primo luogo è evidente che, allo stato, la natura di contravvenzioni, elemento che caratterizza geneticamente sia l'ipotesi di cui all'art. 186 che all'art. 187 Cds, non permetterebbe affatto di poter fare rientrare le condotte punite, con tali norme, nel novero di quei presupposti di fatto richiamati dall'art. 586 c.p. e cioè nella categoria dei “delitti dolosi”.

Vi è poi da rilevare, sempre ad indirizzo negativo, che la più recente giurisprudenza ha precisato che “La responsabilità penale per morte o lesioni costituenti conseguenza non voluta di altro delitto doloso non è fondata sul mero rapporto di causalità materiale fra la precedente condotta e l'evento diverso, ma postula l'accertamento di un coefficiente di «prevedibilità» della morte o delle lesioni, in quanto forma di «responsabilità per colpa»” (Cfr. Cass. pen. Sez. V, 07-02-2006, n. 14302).

In questo modo si è posto l'accento sulla natura prettamente colposa del reato susseguente a quello originario, profilo che appare confermato nell'architettura della norma in questione anche dal riferimento applicativo alle sanzioni – seppur aumentate - sancite dagli artt. 589 e 590 c.p. (che regolano come noto l'omicidio colpo e lesioni colpose) che vengono posti in relazione al disposto dell'art. 83 c.p..

In buona sostanza il tessuto testuale della disposizione in parola opera un preciso riferimento anche all'ipotesi di aberratio delicti prevista al citato art. 83 c.p. che recita sotto la rubrica “Evento diverso da quello voluto dall'agente”.

Fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, se, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell'evento non voluto, quando il fatto e' preveduto dalla legge come delitto colposo.

Se il colpevole ha cagionato altresi' l'evento voluto, si applicano le regole sul concorso dei reati.

Vi è, da ultimo, da sottolineare un solo aspetto, che pare recuperabile alla causa che si propunga e cioè che per la Sez. IV della S.C., ( sent. 25-01-2006, n. 19179, Bellino e altri, Riv. Pen., 2007, 1, 54) In tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, pur definendosi il rapporto tra il delitto voluto e l'evento non voluto in termini di causalità materiale, la condotta delittuosa deve avere insito, in sé, il rischio non imprevedibile né eccezionale di porsi come concausa di morte o lesioni.

Articolo a cura di Carlo Alberto Zaina